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di Massimiliano Nucci "Bo News" Novembre 2002 |
Compil-action Pierangelo Bertoli Cantare a denti stretti Questa estate a Bologna si è esibito Nicola Arigliano, un grande vecchio del panorama musicale italiano, noto (purtroppo) più come testimonial di Carosello (“Digestivo Antonetto”) che come jazz-man. Durante il concerto, Arigliano ha eseguito un brano di un musicista scomparso da alcuni anni, e l’ha introdotto così: “questo è un pezzo di Bruno Martino, che adesso è in turneé”. Così, parafrasando Nicola Arigliano, salutiamo Pierangelo Bertoli scomparso lo scorso 7 ottobre, pensando che ora sia “in turneé”. Una voce bellissima, un timbro affascinante (secondo in Italia, a mio parere, solo a Mario Castelnuovo), le spalle larghe, lo sguardo tagliente, una sedia a rotelle. Pierangelo Bertoli nasce a Sassuolo il 5 novembre del 1942. A metà degli anni sessanta, ascoltando la band del fratello Gianni (batterista di Caterina Caselli) e numerosi 45 giri, comincia a scoprire la musica. A 23 anni comincia a suonare la chitarra e a comporre le prime canzoni. Il primo 45 giri lo incide nel 1973 con Bartolo Bruno e Lello Zacquini : “Marcia d'amore” / “Per dirti t'amo”. Nel 1974 incide altri 45 giri ed il 33 giri “Rosso colore dell’amore” per le “Edizioni del Vento Rosso” (etichetta marxista-leninista). Nel 1975 esce “Roca Blues”, che contiene la bellissima “Eppure soffia”: il “progresso” umano è paradossalmente disumano in quanto distrugge tutto ciò che è fonte di vita. Ma l’esordio vero e proprio nella distribuzione discografica avviene solo nel 1976 con l’album “Eppure soffia”: Caterina Caselli scommette su di lui, gli pubblica il 33 giri, chiede a Guccini di scriverne la presentazione. L’album contiene molte canzoni belle: di nuovo “Eppure soffia” e “Per dirti t’amo”, ma anche le inedite “Sera di Gallipoli” e “C’era un tempo”. Un cantautore su sedia a rotelle non era facile da promuovere nel 1976 (e non lo è tuttora): poche le apparizioni radio-televisive, su tutte “Bontà loro” di Maurizio Costanzo. Ma erano (e sono) canzoni “forti”, che si facevano suonare e cantare con la chitarra, e così Bertoli divenne più amato e conosciuto di quanto forse le vendite raccontassero. Segue nel 1977 un album durissimo: nessuna concessione, nessun ammiccamento, storie di emarginazione, di sopraffazione, di illusione; canzoni che fanno pensare. Due canzoni su tutte: “La luna sotto casa” e “Per te”. Nel 1978 Bertoli incide un album in dialetto, “S’at ven in meint”, che contiene anche un duetto con la Caselli. Nel 1979 arriva invece “A muso duro”. Un altro LP senza ammiccamenti, che contiene tra l’altro quello che è considerato il “manifesto” del cantautore di Sassuolo, la canzone che da il titolo al 33 giri e con la quale egli suole chiudere i suoi concerti: “Canterò le mie canzoni per la strada e affronterò la vita a muso duro, un guerriero senza patria e senza spada, con un piede nel passato e lo sguardo dritto e aperto nel futuro”. E’ del 1980 il lavoro forse più completo e amato: “Certi momenti”, album che nel 1981 entra addirittura nella top ten dei dischi più venduti. Qui, oltre alla canzone che da il titolo al disco, troviamo la famosissima “Pescatore” (che mette bene in evidenza la potenza della voce di Bertoli e quella della Mannoia, in tre “alzate” di tono consecutive) e la malinconica e disillusa “Cent’anni di meno”. Bertoli negli anni successivi incide un album ogni anno: “Album” (fine 1981), “Frammenti” (1983), “Dalla finestra” (1984), “Petra” (1985), alternando una discreta attività concertistica. Sempre nel 1985 esce l’opera imperdibile di Pierangelo Bertoli, l’album che in nessuna casa dovrebbe mancare: “Studio & Live”, una raccolta delle sue pagine musicali più belle, interessanti e riuscite. Nel 1986 suona al palazzo dello sport di Bologna in una giornata dedicata alla lotta alla Mafia. Nel 1987 incide una raccolta di canzoni d’autore, scritte e interpretate precedentemente da cantautori come De Andrè, Tenco, Conte. Nel 1988 inserisce nel 33 “Tra me e me” una canzone di uno sconosciuto cantautore emiliano: la canzone si chiama “Sogni di rock’n’roll”, il suo autore si chiama Luciano Ligabue. Nel 1989 riesce incredibilmente (contro ogni logica di marketing…) ad imporre alla propria casa discografica il titolo “Sedia elettrica” per il suo nuovo lavoro; nello stesso anno è testimonial di uno spot televisivo della “Lega per l’emancipazione dell’handicappato”, in cui si vede Bertoli che cerca di effettuare una chiamata in una cabina telefonica pubblica per denunciare una emergenza, ma le “barriere architettoniche” gli impediscono di comporre il numero. Per questa partecipazione allo spot vince persino il Telegatto. Nel 1990 un grande successo con “Oracoli”, che contiene la bella “E così nasce una canzone” e due duetti con Fabio Concato: la celeberrima “Chiama piano” e “Acqua limpida”. Nel 1991 sorprende tutti e partecipa al Festival di Sanremo con i Tazenda (gruppo sardo che canta in dialetto) con la canzone “Spunta la luna dal monte”: è grande notorietà e fama. La raccolta di successi che esce subito dopo il festival, pur con una copertina poco indovinata (sfondo marrone e una foto di Bertoli che pare una cartolina degli anni ’60 colorata a mano) il disco raggiunge la quarta posizione nella lista dei dischi più venduti in Italia e resta in classifica per ben 19 settimane. Torna a Sanremo anche nel 1992 con “Italia d’oro”: il brano è musicalmente orecchiabile, ma il testo è un durissimo attacco all’Italia ingiusta ed ipocrita. La canzone sfiora il podio, ma Bertoli dopo questa apparizione scompare dallo scenario musicale radio-televisivo. “Italia d’oro” si intitola anche l’album che però è poco graffiante, forse inutile, e il successo di “Spunta la luna dal monte” non viene replicato. Seguono due raccolte: “Gli anni miei” (1993) e “Una voce tra due fuochi” (1995), e il CD di brani inediti “Angoli di vita” (1996). Nel 2002 è uscita la raccolta di successi “301 guerre fa”. Se è vero che ci sono canzoni che si “sentono” e canzoni che si “ascoltano”, se è vero che ci sono parole che carezzano e parole che graffiano, Bertoli si è schierato con chi le orecchie le vuole usare anche per ascoltare, per ricevere messaggi e farsi graffiare l’anima. Mi ricordo che cantava a denti stretti: una cosa stranissima. Pochi hanno messo “l’uomo” così al centro della propria produzione musicale, pochi cantautori si sono schierati così apertamente contro le ipocrisie, contro le barriere e le ingiustizie della nostra società. Bertoli si è sempre scagliato contro un modo di “usare” la politica per fini personali, contro quella parte di chiesa che non sa mettere “gli ultimi” al centro della propria opera, contro quella economia che emargina i diversi, contro il sacrificio degli ideali a favore del dio denaro, contro tutti i falsi moralismi. La sua produzione supera i 200 brani incisi, non tutti, onestamente, di alta qualità: il sociale, il politico, i rapporti di coppia, storie di amore e di paese. Se l’analisi della società è sempre sensibile, arguta e precisa, altrettanto non si può dire della critica politica presente nella produzione di Bertoli: è qui che mancano parole nuove, è nel politico che si serve di visi, maschere, immagini già consumate, talvolta troppo intrise di “militanza”. Il Bertoli che ho amato è quello che canta di rapporti umani, di rapporti di coppia, raccontati nella loro quotidianità, nelle piccole cose, nella fatica di vivere, nella ricerca di relazioni vere e “umane”: “Sera di Gallipoli”, “Per dirti t’amo”, “C’era un tempo”. Il Bertoli che ho amato è quello che ha saputo fondere pubblico e privato, denunciare le ipocrisie piccole e grandi di cui siamo protagonisti, lottare contro l’umana abitudine di “normalizzare” le tragedie dell’individuo, della società e del mondo: “Scoppiò un sorriso”, “Eppure soffia”, “Maddalena”, “Maria Teresa”. E c’è poi un Bertoli cantastorie, quello che ha indovinato canzoni come “Pescatore” interpretata con Fiorella Mannoia e “Caccia alla volpe”. Sparisce con Pierangelo Bertoli uno sguardo lucidissimo sulle nostre contraddizioni quotidiane, un esempio di grande coerenza, concretezza e tenacia, uno degli ultimi “guerrieri senza patria e senza spada”. In turneé. [inizio pagina] | |||