The Nightfly 6 – Heart Beat Easy Tempo – vol. 1-10 Svezia, inferno e paradiso Jazz in the movies Compil-action Loungerie Sigle TV Musica e Pubblicità Marketing e Cinema Sanremo: a cinismo si culmina | ||||
di Massimiliano Nucci "Bo News" Febbraio 2003 |
Loungerie Jazz in the movies Cinecittà Ci sono persone che cambiano spesso il partner. Ci sono persone che cambiano spesso il parrucchiere. Ecco, io appartengo alla seconda categoria. Un po’ come il protagonista del film “Il marito della Parrucchiera”, amo inebriarmi dei profumi delle lacche, farmi carezzare da schiume da barba odorose di mandorle, ammirare questa curiosa attività di apparecchiatura e sparecchiatura del cliente. E’ incredibile come un essere umano possa entrare in una boutique del capello, lasciarsi “rivestire” di un mantello dalle fantasie incredibili (costantemente fuori moda), permettere che la propria giugulare venga sfiorata da una affilatissima lama, consentire all’acconciatore (per questioni di taglio) di pettinare i capelli bagnati come neppure Bobby Solo avrebbe osato. Il tutto magari in una vetrina senza specchiatura verso l’esterno: voi siete lì, col vostro “tirabaci” e il mantello da Topo Gigio…. E proprio in quel momento passa la persona che non avreste mai voluto vi vedesse in quelle circostanze: vi sorride, “sghignazza”, vi saluta. Per fare il barbiere o l’acconciatore o il parrucchiere per uomo bisogna: 1) avere un nome fuori dal comune, 2) avere un “argomento” da trattare con i clienti, 3) avere un discreto assortimento di riviste. Se desiderate verificare voi stessi sulle pagine gialle, troverete “Otello & Candido”, “Joe & Morris”, “Gianni & Jimmi”, “Albert & Equipe”. Risulta chiaro che uno di nome Francesco non possa fare questa professione, a meno che non decida di “salvarsi” dando al negozio un nome stravagante: ad esempio “Maxi”, con la “x” fatta a forbici, oppure “Luciano Men Style”. Oppure un nome straniero che fa sempre atmosfera: “Le figaro di La Mela Veca & Benizzi Snc”, “Des Arts di Li Pizzi Raffaele e Fabiana Fauni Snc”, “Salon de Flor”, “Les Tropiques”, “Boutique dell'acconciatura Maschile”. O infine un nome “simpatico d’azzardo” come “Ricci e Capricci” e “Giusto Taglio”. Ogni parrucchiere per uomo deve avere un argomento di discussione: da ragazzo, mi servivo da “Yano” in Sant’Isaia, e ricordo di ore a parlare di auto e ricambi. Mi pare avesse un Alfasud e si lamentasse di frequente del costo dei ricambi. “Otello & Candido” se non ricordo male parlano di calcio e biliardo. “Otello & Candido” confinano con la sala biliardo del bar Stadio: ricordo di pomeriggi in cui si sentiva bussare contro il muro (era il segnale di un colpo “decisivo” sul tappeto verde) e di loro che sparivano per alcuni istanti, lasciandomi pettinato con la riga da una parte all’altezza dell’orecchio. Ma in generale, essendo dopo il bar l’altro locale maschilista per eccellenza, il barbiere predilige ben più ardite conversazioni con i propri avventori. Conversazioni che fanno sudare, piene di particolari, conversazioni interrotte solo da qualche bella mammina con marmocchio appresso che apre la porta a vetri e chiede: “avete posto?”. Tra le memorabili scene cinematografiche di conversazioni dal barbiere vi segnalo quella di “Amarcord”, col barbiere “Definitivo”, quella di “Acapulco prima spiaggia a sinistra” nel quale Gigi e Andrea annunciano di andare in vacanza dove le donne fanno il nudo “scientifico”, e la scena iniziale de “I barbieri di Sicilia” con Franchi e Ingrassia. Uno dei problemi principali di chi fa il parrucchiere è quello di gestire al meglio il periodo di attesa dei clienti. Il parco riviste a disposizione è lo strumento di “distrazione”, di aggiornamento e di piacere più efficace per non far innervosire i clienti. Di solito si trovano “Il Resto del carlino” e lo “Stadio” a disposizione nel tavolino di fronte alle poltrone d’attesa. Su di una mensola a lato, sono invece sistemati dall’alto al basso: due “Topolino” del 1987, un “Storie blu” e altri pocket della casa editrice “Lo Squalo”, “Eva Tremila”, “Cronaca Vera”, un “Albo Blitz” del 1984, un “Playboy” del 1979, tre “Le Ore” del 1992. Ovviamente il criterio di selezione è tale da soddisfare qualsiasi avventore; il criterio di sovrapposizione delle riviste è frutto invece di grande esperienza, tale da preservare le mamme da situazioni imbarazzanti. Circa un tre anni fa, mi sono servito da “Zefiro” in via Montegrappa. Ambiente piacevole, un design anni settanta, molto più spazio di quello che normalmente si trova dai barbieri. Ricordo che aveva la filodiffusione, una cosa rara e oggi davvero desueta. Durante la “spuntatina” veniva trasmesso un bel brano jazz di Piero Piccioni. Uno dei clienti di Zefiro sottoposti al taglio si mise a raccontare la storia celeberrima di Wilma Montesi, ragazza romana, che venne trovata morta nella primavera del 1953 sulla spiaggia romana di Tor Vaianica, nei pressi di Ostia. Alcuni giornali fecero pesanti insinuazioni sul coinvolgimento di Piero Piccioni nella vicenda, arrivando a determinare le dimissioni di suo padre Attilio, potente uomo della Democrazia Cristiana e allora Ministro degli Esteri. Ma a parte la vicenda Montesi, come poteva venire in mente ad un ragazzo di fare (e comporre!) jazz in italia negli anni ’50? Non credo che ci fossero molti spazi per farsi ascoltare e apprezzare: il jazz italiano era “ancora musica esoterica e riservata a pochi appassionati”. Fu il cinema a rappresentare il canale più popolare e naturale per la diffusione del jazz nostrano. Basti pensare alla stupenda colonna sonora de “I soliti ignoti”, composta da Piero Umiliani, o a quella de “Il vedovo” (con Sordi e Franca Valeri) composta da Armando Trovaioli. Ma resta incredibile come anche per pellicole di serie B, per film minori come “Baleari operazione oro”, i musicisti jazz italiani abbiano profuso tanto impegno, tanta cura nei dettagli dell’arrangiamento. La CAM Jazz ha reso onore a Luttazzi, Trovaioli, Piccioni, Ferrio, Giombini, Marchetti, Umiliani realizzando una bellissima compilation. “Jazz in the movies CINECITTA’ ”. Una panoramica davvero ben fatta sul panorama jazz italiano dalla seconda metà degli anni ’50 fino ad arrivare ai giorni nostri, con la colonna sonora del film “Un’altra vita” (regia di Carlo Mazzacurati e musiche di R. Towner). Sopra a tutti “Intrigo a Los Angeles” e “L’attico”, tracce iper-pimpanti, da completare con un vermouth o un aperitivo ghiacciato. Ma pensate che meraviglia, essere dal barbiere, poter ascoltare un jazz orecchiabile, con la signorina “delle mani” che vi chiede se volete qualcosa dal bar. E voi…”Yes, un Punt & Mes”. E lei signorina prende qualcosa ? Sì, una sambuca Molinari. Ma son cose…. [inizio pagina] | |||